Gesù verrà a giudicare i vivi e i morti (Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 668-682)
I. Egli ritornerà nella gloria. Cristo regna già attraverso la Chiesa.. .
668 «Per questo Cristo è morto e ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi» (Rm 14,9). L’Ascensione di Cristo al cielo significa la sua partecipazione, nella sua umanità, alla potenza e all’autorità di Dio stesso. Gesù Cristo è Signore: egli detiene tutto il potere nei cieli e sulla terra. Egli è «al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione» perché il Padre «tutto ha sottomesso ai suoi piedi» (Ef 1,21-22). Cristo è il Signore del cosmo [Cf Ef 4,10; 1Cor 15,24; 1Cor 15,27-28 ] e della storia. In lui la storia dell’uomo come pure tutta la creazione trovano la loro «ricapitolazione», [Cf Ef 1,10 ] il loro compimento trascendente.
669 Come Signore, Cristo è anche il Capo della Chiesa che è il suo Corpo [Cf Ef 1,22]. Elevato al cielo e glorificato, avendo così compiuto pienamente la sua missione, egli permane sulla terra, nella sua Chiesa. La Redenzione è la sorgente dell’autorità che Cristo, in virtù dello Spirito Santo, esercita sulla Chiesa, [Cf Ef 4,11-13] la quale è «il Regno di Cristo già presente in mistero». La Chiesa «di questo Regno costituisce in terra il germe e l’inizio» [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 3; 5].
670 Dopo l’Ascensione, il disegno di Dio è entrato nel suo compimento. Noi siamo già nell’«ultima ora» (1Gv 2,18) [Cf 1Pt 4,7]. «Già dunque è arrivata a noi l’ultima fase dei tempi e la rinnovazione del mondo è stata irrevocabilmente fissata e in un certo modo è realmente anticipata in questo mondo; difatti la Chiesa già sulla terra è adornata di una santità vera, anche se imperfetta» [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 48]. Il Regno di Cristo manifesta già la sua presenza attraverso i segni miracolosi [Cf Mc 16,17-18] che ne accompagnano l’annunzio da parte della Chiesa [Cf Mc 16,20].
… nell’attesa che tutto sia a lui sottomesso
671 Già presente nella sua Chiesa, il Regno di Cristo non è tuttavia ancora compiuto «con potenza e gloria grande» (Lc 21,27) [Cf Mt 25,31] mediante la venuta del Re sulla terra. Questo Regno è ancora insidiato dalle potenze inique, [Cf 2Ts 2,7] anche se esse sono già state vinte radicalmente dalla Pasqua di Cristo. Fino al momento in cui tutto sarà a lui sottomesso, [Cf 1Cor 15,28] «fino a che non vi saranno i nuovi cieli e la terra nuova, nei quali la giustizia ha la sua dimora, la Chiesa pellegrinante, nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni, che appartengono all’età presente, porta la figura fugace di questo mondo, e vive tra le creature, le quali sono in gemito e nel travaglio del parto sino ad ora e attendono la manifestazione dei figli di Dio» [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 48]. Per questa ragione i cristiani pregano, soprattutto nell’Eucaristia [Cf 1Cor 11,26] per affrettare il ritorno di Cristo [Cf 2Pt 3,11-12] dicendogli: «Vieni, Signore» (1Cor 16,22; Ap 22,17; Ap 22,20).
672 Prima dell’Ascensione Cristo ha affermato che non era ancora il momento del costituirsi glorioso del Regno messianico atteso da Israele, [Cf At 1,6-7] Regno che doveva portare a tutti gli uomini, secondo i profeti, [Cf Is 11,1-9] l’ordine definitivo della giustizia, dell’amore e della pace. Il tempo presente è, secondo il Signore, il tempo dello Spirito e della testimonianza, [Cf At 1,8] ma anche un tempo ancora segnato dalla «necessità» ( 1Cor 7,26 ) e dalla prova del male, [Cf Ef 5,16] che non risparmia la Chiesa [Cf 1Pt 4,17] e inaugura i combattimenti degli ultimi tempi [Cf 1Gv 2,18; 1Gv 4,3; 1Tm 4,1]. è un tempo di attesa e di vigilanza [Cf Mt 25,1-13; Mc 13,33-37].
La venuta gloriosa di Cristo, speranza di Israele
673 Dopo l’Ascensione, la venuta di Cristo nella gloria è imminente, [Cf Ap 22,20] anche se non spetta a noi «conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta» (At 1,7) [Cf Mc 13,32]. Questa venuta escatologica può compiersi in qualsiasi momento [Cf Mt 24,44; 1Ts 5,2] anche se essa e la prova finale che la precederà sono «impedite» [Cf 2Ts 2,3-12].
674 La venuta del Messia glorioso è sospesa in ogni momento della storia [Cf Rm 11,31] al riconoscimento di lui da parte di «tutto Israele» (Rm 11,26; Mt 23,39) a causa dell’«indurimento di una parte» (Rm 11,25) nell’incredulità [Cf Rm 11,20] verso Gesù. San Pietro dice agli Ebrei di Gerusalemme dopo la Pentecoste: «Pentitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati e così possano giungere i tempi della consolazione da parte del Signore ed egli mandi quello che vi aveva destinato come Messia, cioè Gesù. Egli dev’esser accolto in cielo fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose, come ha detto Dio fin dall’antichità, per bocca dei suoi santi profeti» (At 3,19-21). E san Paolo gli fa eco: «Se infatti il loro rifiuto ha segnato la riconciliazione del mondo, quale potrà mai essere la loro riammissione se non una risurrezione dai morti?» (Rm 11,15). «La partecipazione totale» degli Ebrei (Rm 11,12) alla salvezza messianica a seguito della partecipazione totale dei pagani [Cf Rm 11,25; Lc 21,24] permetterà al Popolo di Dio di arrivare «alla piena maturità di Cristo» (Ef 4,13) nella quale «Dio sarà tutto in tutti» (1Cor 15,28).
L’ultima prova della Chiesa
675 Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti [Cf Lc 18,8; Mt 24,12]. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra [Cf Lc 21,12; Gv 15,19-20] svelerà il «Mistero di iniquità» sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella dell’Anti-Cristo, cioè di uno pseudo-messianismo in cui l’uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne [Cf 2Ts 2,4-12; 1Ts 5,2-3; 2Gv 1,7; 1Gv 2,18; 1Gv 2,22].
676 Questa impostura anti-cristica si delinea già nel mondo ogniqualvolta si pretende di realizzare nella storia la speranza messianica che non può esser portata a compimento che al di là di essa, attraverso il giudizio escatologico; anche sotto la sua forma mitigata, la Chiesa ha rigettato questa falsificazione del Regno futuro sotto il nome di «millenarismo», [Cf Congregazione per la Dottrina della Fede, Decreto del 19 luglio 1944, De Millenarismo: Denz. -Schönm., 3839] soprattutto sotto la forma politica di un messianismo secolarizzato «intrinsecamente perverso» [Cf Pio XI, Lett. enc. Divini Redemptoris, che condanna il «falso misticismo» di questa «con-traffazione della redenzione degli umili»; Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 20-21. Cf Ap 19,1-9].
677 La Chiesa non entrerà nella gloria del Regno che attraverso quest’ultima Pasqua, nella quale seguirà il suo Signore nella sua morte e Risurrezione [Cf Ap 13,8]. Il Regno non si compirà dunque attraverso un trionfo storico della Chiesa [Cf Ap 20,7-10] secondo un progresso ascendente, ma attraverso una vittoria di Dio sullo scatenarsi ultimo del male [Cf Ap 21,2-4] che farà discendere dal cielo la sua Sposa [ Cf Ap 20,12]. Il trionfo di Dio sulla rivolta del male prenderà la forma dell’ultimo Giudizio [Cf 2Pt 3,12-13] dopo l’ultimo sommovimento cosmico di questo mondo che passa [Cf Dn 7,10; Gl 3-4; Ml 3,19].
II. Per giudicare i vivi e i morti
678 In linea con i profeti [Cf Mt 3,7-12] e Giovanni Battista [Cf Mc 12,38-40] Gesù ha annunziato nella sua predicazione il Giudizio dell’ultimo Giorno. Allora saranno messi in luce la condotta di ciascuno [Cf Lc 12,1-3; Gv 3,20-21; Rm 2,16; 1Cor 4,5] e il segreto dei cuori [Cf Mt 11,20-24; Mt 12,41-42]. Allora verrà condannata l’incredulità colpevole che non ha tenuto in alcun conto la grazia offerta da Dio. L’atteggiamento verso il prossimo rivelerà l’accoglienza o il rifiuto della grazia e dell’amore divino [Cf Mt 5,22; Mt 7,1-5]. Gesù dirà nell’ultimo giorno: «Ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).
679 Cristo è Signore della vita eterna. Il pieno diritto di giudicare definitivamente le opere e i cuori degli uomini appartiene a lui in quanto Redentore del mondo. Egli ha «acquisito» questo diritto con la sua croce. Anche il Padre «ha rimesso ogni giudizio al Figlio» (Gv 5,22) [Cf Gv 5,27; Mt 25,31; At 10,42; At 17,31; 2Tm 4,1]. Ora, il Figlio non è venuto per giudicare, ma per salvare [Cf Gv 3,17] e per donare la vita che è in lui [Cf Gv 5,26]. è per il rifiuto della grazia nella vita presente che ognuno si giudica già da se stesso, [Cf Gv 3,18; Gv 12,48] riceve secondo le sue opere [Cf 1Cor 3,12-15] e può anche condannarsi per l’eternità rifiutando lo Spirito d’amore [Cf Mt 12,32; Eb 6,4-6; Eb 10,26-31].
In sintesi
680 Cristo Signore regna già attraverso la Chiesa, ma tutte le cose di questo mondo non gli sono ancora sottomesse. Il trionfo del Regno di Cristo non avverrà senza un ultimo assalto delle potenze del male.
681 Nel Giorno del Giudizio, alla fine del mondo, Cristo verrà nella gloria per dare compimento al trionfo definitivo del bene sul male che, come il grano e la zizzania, saranno cresciuti insieme nel corso della storia.
682 Cristo glorioso, venendo alla fine dei tempi a giudicare i vivi e i morti, rivelerà la disposizione segreta dei cuori e renderà a ciascun uomo secondo le sue opere e secondo l’accoglienza o il rifiuto della grazia.
Verrà nella gloria (Francesco, Udienza Generale, 24 aprile 2013)
Nel Credo noi professiamo che Gesù «di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti». La storia umana ha inizio con la creazione dell’uomo e della donna a immagine e somiglianza di Dio e si chiude con il giudizio finale di Cristo. Spesso si dimenticano questi due poli della storia, e soprattutto la fede nel ritorno di Cristo e nel giudizio finale a volte non è così chiara e salda nel cuore dei cristiani. Gesù, durante la vita pubblica, si è soffermato spesso sulla realtà della sua ultima venuta. Oggi vorrei riflettere su tre testi evangelici che ci aiutano ad entrare in questo mistero: quello delle dieci vergini, quello dei talenti e quello del giudizio finale. Tutti e tre fanno parte del discorso di Gesù sulla fine dei tempi, nel Vangelo di san Matteo.
Anzitutto ricordiamo che, con l’Ascensione, il Figlio di Dio ha portato presso il Padre la nostra umanità da Lui assunta e vuole attirare tutti a sé, chiamare tutto il mondo ad essere accolto tra le braccia aperte di Dio, affinché, alla fine della storia, l’intera realtà sia consegnata al Padre. C’è, però, questo “tempo immediato” tra la prima venuta di Cristo e l’ultima, che è proprio il tempo che stiamo vivendo. In questo contesto del “tempo immediato” si colloca la parabola delle dieci vergini (cfr Mt 25,1-13). Si tratta di dieci ragazze che aspettano l’arrivo dello Sposo, ma questi tarda ed esse si addormentano. All’annuncio improvviso che lo Sposo sta arrivando, tutte si preparano ad accoglierlo, ma mentre cinque di esse, sagge, hanno olio per alimentare le proprie lampade, le altre, stolte, restano con le lampade spente perché non ne hanno; e mentre lo cercano giunge lo Sposo e le vergini stolte trovano chiusa la porta che introduce alla festa nuziale. Bussano con insistenza, ma ormai è troppo tardi, lo Sposo risponde: non vi conosco. Lo Sposo è il Signore, e il tempo di attesa del suo arrivo è il tempo che Egli ci dona, a tutti noi, con misericordia e pazienza, prima della sua venuta finale; è un tempo di vigilanza; tempo in cui dobbiamo tenere accese le lampade della fede, della speranza e della carità, in cui tenere aperto il cuore al bene, alla bellezza e alla verità; tempo da vivere secondo Dio, poiché non conosciamo né il giorno, né l’ora del ritorno di Cristo. Quello che ci è chiesto è di essere preparati all’incontro – preparati ad un incontro, ad un bell’incontro, l’incontro con Gesù -, che significa saper vedere i segni della sua presenza, tenere viva la nostra fede, con la preghiera, con i Sacramenti, essere vigilanti per non addormentarci, per non dimenticarci di Dio. La vita dei cristiani addormentati è una vita triste, non è una vita felice. Il cristiano dev’essere felice, la gioia di Gesù. Non addormentarci!
La seconda parabola, quella dei talenti, ci fa riflettere sul rapporto tra come impieghiamo i doni ricevuti da Dio e il suo ritorno, in cui ci chiederà come li abbiamo utilizzati (cfr Mt 25,14-30). Conosciamo bene la parabola: prima della partenza, il padrone consegna ad ogni servo alcuni talenti, affinché siano utilizzati bene durante la sua assenza. Al primo ne consegna cinque, al secondo due e al terzo uno. Nel periodo di assenza, i primi due servi moltiplicano i loro talenti – queste sono antiche monete -, mentre il terzo preferisce sotterrare il proprio e consegnarlo intatto al padrone. Al suo ritorno, il padrone giudica il loro operato: loda i primi due, mentre il terzo viene cacciato fuori nelle tenebre, perché ha tenuto nascosto per paura il talento, chiudendosi in se stesso. Un cristiano che si chiude in se stesso, che nasconde tutto quello che il Signore gli ha dato è un cristiano… non è cristiano! È un cristiano che non ringrazia Dio per tutto quello che gli ha donato! Questo ci dice che l’attesa del ritorno del Signore è il tempo dell’azione – noi siamo nel tempo dell’azione -, il tempo in cui mettere a frutto i doni di Dio non per noi stessi, ma per Lui, per la Chiesa, per gli altri, il tempo in cui cercare sempre di far crescere il bene nel mondo. E in particolare in questo tempo di crisi, oggi, è importante non chiudersi in se stessi, sotterrando il proprio talento, le proprie ricchezze spirituali, intellettuali, materiali, tutto quello che il Signore ci ha dato, ma aprirsi, essere solidali, essere attenti all’altro. Nella piazza, ho visto che ci sono molti giovani: è vero, questo? Ci sono molti giovani? Dove sono? A voi, che siete all’inizio del cammino della vita, chiedo: Avete pensato ai talenti che Dio vi ha dato? Avete pensato a come potete metterli a servizio degli altri? Non sotterrate i talenti! Scommettete su ideali grandi, quegli ideali che allargano il cuore, quegli ideali di servizio che renderanno fecondi i vostri talenti. La vita non ci è data perché la conserviamo gelosamente per noi stessi, ma ci è data perché la doniamo. Cari giovani, abbiate un animo grande! Non abbiate paura di sognare cose grandi!
Infine, una parola sul brano del giudizio finale, in cui viene descritta la seconda venuta del Signore, quando Egli giudicherà tutti gli esseri umani, vivi e morti (cfr Mt 25,31-46). L’immagine utilizzata dall’evangelista è quella del pastore che separa le pecore dalle capre. Alla destra sono posti coloro che hanno agito secondo la volontà di Dio, soccorrendo il prossimo affamato, assetato, straniero, nudo, malato, carcerato – ho detto “straniero”: penso a tanti stranieri che sono qui nella diocesi di Roma: cosa facciamo per loro? – mentre alla sinistra vanno coloro che non hanno soccorso il prossimo. Questo ci dice che noi saremo giudicati da Dio sulla carità, su come lo avremo amato nei nostri fratelli, specialmente i più deboli e bisognosi. Certo, dobbiamo sempre tenere ben presente che noi siamo giustificati, siamo salvati per grazia, per un atto di amore gratuito di Dio che sempre ci precede; da soli non possiamo fare nulla. La fede è anzitutto un dono che noi abbiamo ricevuto. Ma per portare frutti, la grazia di Dio richiede sempre la nostra apertura a Lui, la nostra risposta libera e concreta. Cristo viene a portarci la misericordia di Dio che salva. A noi è chiesto di affidarci a Lui, di corrispondere al dono del suo amore con una vita buona, fatta di azioni animate dalla fede e dall’amore.
Cari fratelli e sorelle, guardare al giudizio finale non ci faccia mai paura; ci spinga piuttosto a vivere meglio il presente. Dio ci offre con misericordia e pazienza questo tempo affinché impariamo ogni giorno a riconoscerlo nei poveri e nei piccoli, ci adoperiamo per il bene e siamo vigilanti nella preghiera e nell’amore. Il Signore, al termine della nostra esistenza e della storia, possa riconoscerci come servi buoni e fedeli.