Buon cammino di Avvento

In ogni domenica di questo Avvento del Signore 2024 saremo accompagnati da una parola simbolica che ci darà il leitmotiv di tutta la giornata e di tutta la settimana. Saranno parole simboliche, ossia non spiegazioni della messianicità di Cristo, ma contemplazioni del suo mistero per entrare consapevolmente nella sua vita e vivere gioiosamente della sua amicizia. Ogni parola ci aiuterà nell’incontrare il Salvatore secondo quel termine rivelato mediante cui siamo invitati a rivolgerci a Lui.
Non siamo soli in questo mondo, la Chiesa sa che il suo Redentore è il Salvatore ed il Consolatore. Redenti e consolati dalla Parola di Dio e dai Sacramenti, siamo inviati nei nostri quartieri dal fuoco della Carità che arde in noi per portare lì stesso il messaggio della pace proprio mediante la nostra esistenziale prossimità infuocata d’amore divino. Per cui dobbiamo chiederci ed onestamente rispondere: questo fuoco c’è?

Le parole della liturgia, i titoli dati al Messia sono di Dio innanzitutto e per il popolo, per tutti, per noi, soprattutto per chi ha bisogno di redenzione perché è nella malattia, nel lutto, nella solitudine, nella prova. Sono parole di speranza perché Cristo Gesù è la “nostra speranza” (1Tm 1,1)! Ecco allora che le parole bibliche diventando simboliche grazie all’azione liturgica raggiungeranno anche in questa attività missionaria la loro efficacia ed il loro completamento: Gesù è il Germoglio Giusto (prima domenica), il Figlio dell’Altissimo (seconda domenica), il Salvatore Potente (terza domenica), il Dominatore d’Israele (quarta domenica) e potrà esserlo per tutti coloro che ancora aspettano la redenzione di Israele che avverrà solamente se noi di essa ci faremo servi ed evangelizzatori. Possa questo tempo di Avvento favorire delle occasioni per leggere e approfondire i seguenti documenti:


«Un mondo senza Dio è un mondo senza speranza (cfr Ef 2,12). Solo Dio può creare giustizia. E la fede ci dà la certezza: Egli lo fa. L’immagine del Giudizio finale è in primo luogo non un’immagine terrificante, ma un’immagine di
speranza; per noi forse addirittura l’immagine decisiva della speranza. Ma non è forse anche un’immagine di spavento? Io direi: è un’immagine che chiama in causa la responsabilità. Un’immagine, quindi, di quello spavento di cui sant’Ilario dice che ogni nostra paura ha la sua collocazione nell’amore. Dio è giustizia e crea giustizia. È questa la nostra consolazione e la
nostra speranza. Ma nella sua giustizia è insieme anche grazia. Questo lo sappiamo volgendo lo sguardo sul Cristo crocifisso e risorto» (Benedetto XVI, Spe Salvi, 44).


«Santa Maria, tu appartenevi a quelle anime umili e grandi in Israele che, come Simeone, aspettavano “il conforto d’Israele” (Lc 2,25) e attendevano,come Anna, “la redenzione di Gerusalemme” (Lc 2,38). Tu vivevi in intimo contatto con le Sacre Scritture di Israele, che parlavano della speranza – della promessa fatta ad Abramo e alla sua discendenza (cfr Lc 1,55). Così comprendiamo il santo timore che ti assalì, quando l’angelo del Signore entrò nella tua camera e ti disse che tu avresti dato alla luce Colui che era la speranza di Israele e l’attesa del mondo. Per mezzo tuo, attraverso il tuo “sì”, la speranza dei millenni doveva diventare realtà, entrare in questo mondo e nella sua storia. Tu ti sei inchinata davanti alla grandezza di questo compito e hai detto “sì”: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38)» (Benedetto XVI, Spe Salvi, 50).


«Non è la scienza che redime l’uomo. L’uomo viene redento mediante l’amore. Ciò vale già nell’ambito puramente intramondano. Quando uno
nella sua vita fa l’esperienza di un grande amore, quello è un momento di “redenzione” che dà un senso nuovo alla sua vita. Ma ben presto egli si renderà anche conto che l’amore a lui donato non risolve, da solo, il problema della sua vita. È un amore che resta fragile. Può essere distrutto dalla morte. L’essere umano ha bisogno dell’amore incondizionato. Ha
bisogno di quella certezza che gli fa dire: “Né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezze né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rm 8,38-39). Se esiste questo amore assoluto con la sua certezza assoluta, allora – soltanto allora – l’uomo è “redento”, qualunque cosa gli accada nel caso particolare. È questo che si intende, quando diciamo: Gesù Cristo ci ha “redenti”. Per mezzo di Lui siamo diventati certi di Dio – di un Dio che non costituisce una lontana “causa prima” del mondo, perché il suo Figlio unigenito si è fatto uomo e di Lui ciascuno può dire: “Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20)» (Benedetto XVI, Spe Salvi, 26).


«La vita è come un viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca, un viaggio nel quale scrutiamo gli astri che ci indicano la rotta. Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza. Certo, Gesù Cristo è la luce per antonomasia, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia. Ma per giungere fino a Lui abbiamo bisogno anche di luci vicine – di persone che donano luce traendola dalla sua luce ed offrono così orientamento per la nostra traversata. E quale persona potrebbe più di Maria essere per noi stella di speranza – lei che con il suo “sì” aprì a Dio stesso la porta del nostro mondo; lei che diventò la vivente Arca dell’Alleanza, in cui Dio si fece carne, divenne uno di noi, piantò la sua tenda in mezzo a noi (cfr Gv 1,14)?» (Benedetto XVI, Spe Salvi, 49).