Del grande san Bruno, padre dei certosini, sono giunti fino a noi due scritti:
Il primo è una lettera di risposta ai monaci della Grande Chartreuse, in Francia, che lo avevano consultato su come continuare l’esperienza certosina e ai quali San Bruno espone i propri ideali, fornendo loro indicazioni sulla pratica della vita solitaria, risolvendo i loro problemi e incoraggiandoli a perseverare.
Il secondo è un’altra lettera al venerabile signor Rodolfo il Verde, amico e prevosto di Reims, dove San Bruno rivelava con chiarezza la gioia che egli assaporava in quel genere di vita dedita tutta a Dio. Dotato infatti di grande equilibrio, San Bruno disdegnava tutto ciò che nella spiritualità propria dell’eremita, monaco o monaca, poteva assomigliare a morbosa introspezione o a eccessiva asprezza. Rimase l’amico e il consigliere spirituale dei potenti come dei suoi monaci. Ecco di seguito i due testi. Buona lettura!
Lettera che il nostro Venerabile Padre Bruno scrisse in un eremo di Calabria,
chiamato la Torre, e che da lì inviò ai suoi Figli di Certosa
1. Ai suoi fratelli amati in maniera singolare in Cristo, fratello Bruno invia il suo saluto nel Signore. Ho appreso dell’inflessibile rigore della vostra disciplina che è ragionevole e veramente degna di lode, grazie alla dettagliata e consolante relazione del nostro beatissimo fratello Landuino, così come ho altresì udito del vostro santo amore e dell’incessante zelo per tutto ciò che concerne l’integrità e l’onestà; perciò il mio spirito esulta nel Signore. Veramente esulto e mi sento portato a lodare il Signore e a ringraziarlo, e tuttavia sospiro amaramente. Esulto, sì, come è giusto, per l’accrescersi dei frutti delle vostre virtù, ma mi dolgo e arrossisco dì giacere inerte e negligente nella sordidezza dei miei peccati.
2. Gioite dunque, fratelli miei carissimi, per la felicità che avete avuto in sorte e per l’abbondanza della grazia di Dio verso di voi. Gioite, poiché siete sfuggiti ai molteplici pericoli e naufragi di questo mondo sballottato dalle onde. Gioite, poiché avete guadagnato il tranquillo e sicuro rifugio di un porto ben riparato, al quale molti desiderano arrivare ed a cui molti tendono con parecchi sforzi, e pur tuttavia non vi giungono. Inoltre, molti, dopo averlo raggiunto, ne sono esclusi, poiché a nessuno di loro è stato concesso dall’alto. Perciò, fratelli miei, considerate come cosa certa e provata che, chiunque abbia goduto di un bene così desiderabile, se in qualche modo verrà a perderlo, se ne dorrà fino alla morte, se pur avrà avuto qualche riguardo e cura della salvezza della sua anima.
3. Di voi, miei dilettissimi fratelli laici, dico: L’anima mia magnifica il Signore, poiché contemplo la magnificenza della sua misericordia su di voi, secondo quanto mi riferisce il vostro priore e padre amantissimo, che è molto fiero e contento di voi. Gioisco anch’io poiché, sebbene non abbiate la scienza delle lettere, il Dio, che è potente, col suo stesso dito incide, nei vostri cuori, non solo l’amore, ma anche la conoscenza della sua legge santa. Con le opere infatti mostrate che cosa amate e che cosa conoscete. Giacché praticate con tutta l’attenzione e con tutto lo zelo possibile la vera ubbidienza – che consiste nel compimento dei precetti di Dio, che è la chiave e il sigillo di ogni disciplina spirituale, che non può mai esistere senza una grande umiltà ed una pazienza non comune, a cui sempre si accompagna il casto amore del Signore e la vera carità – è evidente che voi sapientemente raccogliete il frutto soavissimo e vitale della Scrittura divina.
4. Dunque, fratelli miei, perseverate nello stato cui siete giunti, ed evitate come la peste la banda malsana di quei veramente falsi laici che fanno circolare i loro scritti borbottando cose che non comprendono né amano, e che con le parole e con i fatti contraddicono. Questi laici, oziosi e girovaghi, sono calunniatori di quanti sono buoni e religiosi, e proprio in questo ritengono di essere degni di lode, se hanno diffamato coloro che invece dovrebbero essere lodati; l’ubbidienza e qualsiasi disciplina è per essi odiosa.
5. Avrei poi voluto trattenere presso di me fratello Landuino a causa delle sue gravi e frequenti infermità: ma poiché ritiene che, senza di voi, niente è per lui sano, niente gioioso, niente vitale e utile, non ha acconsentito, dimostrandomi, con il profluvio di lacrime versate per voi e con molti sospiri, quanto valete per lui e con quale perfetta carità ami voi tutti. Per la qual cosa, non ho voluto esercitare alcuna costrizione, per non fare del male a lui, e a voi, che mi siete carissimi per il merito delle vostre virtù. Pertanto, fratelli miei, premurosamente vi avverto e umilmente ma con forza vi prego affinché la carità che avete nel cuore la mostriate con le opere verso di lui, in quanto priore e padre carissimo, procurandogli con benevolenza e attenzione le cose che, a causa delle sue numerose infermità, gli sono necessarie. Forse non vi consentirà di esercitare questo servizio di umanità, preferendo porre in pericolo la salute e la vita anziché tralasciare alcunché del rigore della disciplina corporale, la qual cosa deve essere assolutamente disapprovata – probabilmente si vergognerà, lui, che è il primo nella comunità, di apparire l’ultimo su tale punto, per paura che, a causa sua, qualcuno di voi divenga più rilassato o più tiepido, cosa che, io ritengo, non sia da temere in alcun modo -; in questo caso, per non essere privati di tale grazia, concedo a voi, che siete tanto pieni di carità, di fare le mie veci solamente riguardo a questo: vi sia cioè consentito di obbligarlo, rispettosamente, ad accettare ciò che gli darete per la salute.
6. Quanto a me, fratelli, sappiate che il mio unico desiderio, dopo Dio, è quello di venire da voi e di vedervi. E quando potrò, lo porrò in atto, con l’aiuto di Dio. Addio.
p. Bruno
Lettera di San Bruno a Rodolfo il Verde
1. Al venerabile signor Rodolfo, prevosto di Reims, degno di essere onorato con i più sinceri sentimenti di affetto, Bruno porge il suo saluto. La fedeltà a una vecchia e provata amicizia che si vede in te è tanto più ammirevole e degna di elogio quanto più è raro incontrarla tra gli uomini. Sebbene, infatti, una grande distanza ed un ancor più lungo spazio di tempo abbiano tenuto separati, l’uno dall’altro, i nostri corpi, tuttavia i tuoi sentimenti di affetto non è stato possibile tenerli lontani dall’amico. Ciò risulta abbastanza evidente dalle tue dolcissime lettere, nelle quali mi hai espresso la tenerezza della tua amicizia, ed altresì dai benefici tanto generosamente prodigati, non solo a me, ma anche, per causa mia, al fratello Bernardo, e da molti altri segni ancora. Per questo porgo i miei ringraziamenti alla tua benignità; essi, certamente, risultano impari ai tuoi meriti, ma, d’altra parte, sgorgano dalla sorgente pura dell’amore.
2. Un viaggiatore, abbastanza fedele in altre missioni, già da lungo tempo è partito con una lettera diretta a te; ma, dato che fino ad ora non è ricomparso, ho giudicato opportuno inviarti uno dei nostri, perché esponga a viva voce più compiutamente tutto ciò che mi riguarda, poiché per iscritto riuscirei a farlo meno bene.
3. Ti faccio dunque sapere, mio degno amico, poiché ritengo che ciò non ti sarà sgradito, che quanto al corpo sto bene – oh se fosse così anche per l’anima! – e che, per quanto riguarda le cose esteriori, procede tutto bene, secondo i miei desideri. Ma, attendo, anche, supplicando, che la mano della divina misericordia guarisca tutte le mie malattie interiori e sazi dei suoi beni il mio desiderio.
4. In territorio di Calabria, con dei fratelli religiosi, alcuni dei quali molto colti, che, in una perseverante vigilanza divina attendono il ritorno del loro Signore per aprirgli subito appena bussa, io abito in un eremo abbastanza lontano, da tutti i lati, dalle abitazioni degli uomini. Della sua amenità, del suo clima mite e sano, della pianura vasta e piacevole che si estende per lungo tratto tra i monti, con le sue verdeggianti praterie e i suoi floridi pascoli, che cosa potrei dirti in maniera adeguata? Chi descriverà in modo consono l’aspetto delle colline che dolcemente si vanno innalzando da tutte le parti, il recesso delle ombrose valli, con la piacevole ricchezza di fiumi, di ruscelli e di sorgenti? Né mancano orti irrigati, né alberi da frutto svariati e fertili.
5. Ma perché indugiare a lungo su tali cose? Altri, certamente, sono i piaceri dell’uomo saggio, di gran lunga più gradevoli e più utili, poiché divini. Ma tuttavia l’animo, troppo debole, affaticato da una disciplina troppo rigida e dalle applicazioni spirituali, molto spesso con queste cose si risolleva e respira. Se, infatti, l’arco è continuamente teso, si allenta e diviene meno atto al suo compito.
6. Quanta utilità e gioia divina rechino la solitudine e il silenzio dell’eremo a coloro che li amano, lo sanno solamente quelli che ne hanno fatto esperienza. Qui, infatti, agli uomini forti è consentito raccogliersi quanto desiderano e restare con se stessi, coltivare assiduamente i germogli delle virtù e nutrirsi, felicemente, dei frutti del paradiso. Qui si conquista quell’occhio il cui sereno sguardo ferisce d’amore lo Sposo, e per mezzo della cui trasparenza e purezza si vede Dio. Qui si pratica un ozio laborioso e si riposa in un’azione quieta. Qui, per la fatica del combattimento, Dio dona ai suoi atleti la ricompensa desiderata, cioè la pace che il mondo ignora, e la gioia nello Spirito Santo. Questa è quella Rachele avvenente, di bell’aspetto, che Giacobbe, sebbene fosse meno fertile di figli, amò più di Lia, certo più feconda ma dagli occhi cisposi. Meno numerosi, infatti, sono i figli della contemplazione rispetto a quelli dell’azione; tuttavia Giuseppe e Beniamino più degli altri fratelli sono amati dal padre. Questa è quella parte migliore che Maria ha scelto e che non le sarà tolta.
7. Questa è quella bellissima Sunamita, l’unica trovata in tutto il territorio d’Israele, che, giovane, potesse accarezzare e riscaldare l’anziano Davide. Magari, fratello mio carissimo, tu la amassi sopra ogni altra cosa, sicché, riscaldato dai suoi abbracci, tu potessi ardere di amore divino. Se anche una sola volta il suo amore si stabilisse nel tuo cuore, subito quella seducente e carezzevole ingannatrice che è la gloria del mondo sarebbe per te degna di disprezzo e le ricchezze che tanto inquietano e sono tanti pesanti per l’animo facilmente le respingeresti e, altresì, proveresti ripugnanza per i piaceri, nocivi sia al corpo che allo spirito.
8. La tua saggezza, infatti, conosce bene chi è colui che dice: Se uno ama il mondo e ciò che è nel mondo – ovvero il piacere della carne, la concupiscenza degli occhi e l’ambizione – l’amore del Padre non è in lui; ed inoltre: Chi vuol essere amico di questo mondo si fa nemico di Dio. Che cosa vi è, dunque, di tanto iniquo, che cosa di tanto insensato e di tanto dannoso e sventurato quanto il voler agire contro colui alla cui potenza non si può resistere, e alla cui giusta vendetta non si può sfuggire? Siamo, forse, noi più forti di lui? Forse che, solamente perché la pazienza della sua pietà ci spinge al pentimento, non punirà infine le offese di coloro che lo disprezzano? Che cosa infatti, vi è di più perverso, d’opposto alla ragione, alla giustizia e alla natura stessa, dell’amare più la creatura che il creatore, del ricercare più il perituro che l’eterno, più il terreno che il celeste?
9. Che cosa, dunque, pensi di fare, carissimo? Che cosa, se non credere ai consigli divini, credere alla verità che non può ingannare? Tutti, infatti, essa consiglia, quando dice: Venite a me voi tutti che siete affaticati ed oppressi, ed io vi ristorerò. Non è una pessima ed inutile fatica l’essere tormentati dalla concupiscenza, l’essere incessantemente afflitti da preoccupazioni e ansietà, da timore e dolore per le cose desiderate? Quale peso è più grave di quello che abbassa la mente dalla sublime altezza della sua dignità nell’infimità, e ciò contro ogni giustizia? Fuggi dunque, o fratello mio, tutte queste inquietudini e miserie, e passa dalla tempesta di questo mondo al riparo sicuro e quieto del porto.
10. La tua saggezza conosce che cosa ci dice la Sapienza stessa: Chi non rinuncia a tutto ciò che possiede, non può essere mio discepolo. Quanto sia bello, quanto utile e quanto piacevole restare alla sua scuola sotto la guida dello Spirito Santo e apprendere la divina filosofia che sola dà la beatitudine vera, chi non lo vede?
11. Pertanto è necessario che la tua saggezza consideri con diligente esame che, se non ti invita l’amore di Dio, se non ti stimola l’utilità di tanto grandi premi, almeno debbono costringerti a ciò l’inevitabilità e il timore delle pene.
12. Sai, infatti, da quale promessa sei obbligato, e verso chi. Onnipotente e terribile è colui al quale tu hai consacrato te stesso quale offerta gradita e ben accetta; colui al quale non è né consentito né conveniente mentire, perché non sopporta di essere impunemente burlato.
13. Certamente, mio diletto amico, ricordi come un giorno trovandoci insieme io, tu e Fulcuio il Guercio, nel piccolo giardino adiacente alla casa di Adamo, dove allora ero ospitato, abbiamo parlato per qualche tempo, mi sembra, dei falsi piaceri e delle periture ricchezze di questo mondo ed anche delle gioie della gloria eterna. Allora, infiammati d’amore divino, promettemmo, facemmo voto e decidemmo di lasciare quanto prima le fugacità del secolo e captare ciò che è eterno, nonché di ricevere l’abito monastico. Questo proposito sarebbe stato attuato se Fulcuio, allora, non fosse partito per Roma; ne differimmo l’esecuzione al tempo del suo ritorno. Ma, poiché Fulcuio ritardava e intervennero altre cause, si raffreddò l’animo e il fervore svanì.
14. Che cosa, dunque, ti resta, o carissimo, se non scioglierti al più presto dai vincoli di un tale debito, per non incorrere, a causa di una così grave e così prolungata colpa di menzogna, nell’ira del Potentissimo, e, per questo, in immani tormenti? Chi dei potenti, infatti, si lascerebbe defraudare da qualche suo suddito di un dono promesso senza punirlo, specialmente se esso fosse per lui di grande stima e pregio? Pertanto, credi non a me, ma al profeta, anzi allo Spirito Santo che dice: Fate voti al Signore vostro Dio, ed adempiteli, voi tutti che, stando intorno a lui, gli portate doni: al terribile, a colui che toglie il respiro ai principi, al terribile verso i re della terra. Stai ascoltando il Signore, stai ascoltando il tuo Dio, stai ascoltando il terribile, colui che toglie il respiro ai principi, stai ascoltando colui che terribile è verso i re della terra. Perché inculca tutte queste cose lo Spirito di Dio, se non per spingere te, che ti sei obbligato con un voto, a mantenere le promesse? Perché hai difficoltà a mantenere ciò che non produce alcuna perdita o diminuzione dei tuoi beni, e che aumenta i tuoi guadagni più che quelli di colui al quale pagherai il tuo debito?
15. Non ti trattengano, perciò, le ricchezze fallaci, perché non riescono a eliminare la miseria, né la dignità di prevosto, che non può essere esercitata senza un grande pericolo per l’anima. Poiché convertire a proprio profitto i beni altrui, dei quali sei amministratore e non proprietario, è – consentimi di dirlo – un atto tanto odioso quanto iniquo. Che se sarai desideroso di successo e di gloria e se desidererai avere una numerosa servitù, non bastandoti ciò che legittimamente possiedi, non sarai forse costretto a sottrarre in qualche modo agli uni ciò che elargirai agli altri? Il che non significa essere benefico o liberale. Niente, infatti, è liberale se al tempo stesso non è giusto.
16. Ma anche, mio diletto amico, desidero persuaderti di una cosa, e cioè che per il servizio del signor arcivescovo, il quale confida e si appoggia molto sui tuoi consigli – e non è facile darne sempre giusti e utili – tu non ti lasci allontanare dalla divina carità, che tanto più è giusta quanto più è anche utile. E poi, che cosa è tanto giusto e tanto utile, e che cosa così insito e conveniente alla natura umana quanto l’amare il bene? E che cosa altro è tanto bene quanto Dio? Anzi, che cosa altro è bene se non solo Dio? Perciò l’anima santa, che, di questo bene, in parte percepisce l’incomparabile dignità, splendore e bellezza, accesa dalla fiamma d’amore dice: L’anima mia ha sete del Dio forte e vivo; quando verrò e mi presenterò davanti al volto di Dio?
17. Oh, potessi tu, fratello, non disprezzare le esortazioni di un amico! Oh, potessi tu ascoltare, non rendendo sorde le tue orecchie, le parole dello Spirito Santo! Oh se, dilettissimo amico, esaudissi il mio desiderio e la mia lunga attesa, affinché l’anima mia non sia afflitta più a lungo, per te, da preoccupazioni, inquietudini e timore! Poiché se ti accadrà – ma Dio non lo permetta – che tu muoia prima di aver assolto il debito del voto, lascerai me consumato in una continua tristezza senza neppure il conforto della speranza.
18. Pertanto, desidero fortemente supplicare ed ottenere da te che, almeno per devozione, ti degni di venire a San Nicola e, di lì, fino a me, perché tu possa vedere chi, in modo del tutto singolare, ti ama, e possiamo così insieme discutere a viva voce dello stato delle nostre cose e dell’osservanza religiosa ed, altresì, di quelle cose che riguardano la nostra comune utilità. E confido nel Signore che non ti pentirai di avere affrontato la fatica così gravosa di questo viaggio.
19. Ho superato il limite della brevità epistolare perché, mentre non posso averti presente fisicamente, almeno mi trattengo più a lungo con te mediante questa conversazione scritta. Vivamente ti auguro, caro fratello, di godere a lungo di una buona salute, memore del mio consiglio. Ti prego di inviarmi la Vita di San Remigio, poiché dalle nostre parti non è possibile trovarla. Addio.
p. Bruno