Abbiamo iniziato, a partire da lunedì 20 febbraio 2017, la lectio divina sul Libro dell’Apocalisse, l’ultimo libro della Bibbia. L’Apocalisse è un testo particolare che se letto superficialmente si presta a interpretazioni che ne snaturano il significato, lo leggeremo e mediteremo insieme quale libro di consolazione e di profonda fede e speranza nell’agire del Signore che sempre trionfa sul male. L’ultima parola è sempre quella di Dio, di Dio che in Gesù, Agnello immolato per noi, vince il peccato con la Croce, il male con il Bene, l’odio con il dono di Sé.
L’Apocalisse, termine greco che significa “rivelazione”, è rivelazione di Gesù Cristo, ciò che Lui ha rivelato di Sé stesso. Lui è la rivelazione di Dio e in Lui ci vengono rivelate alcune verità fondamentali sul Regno di Dio, la Chiesa e il senso della storia. Ciò che l’Apocalisse vuole insegnare a ciascuno di noi è il senso profondo e il compimento della storia. Ci svela verso quale traguardo è orientata la vita dell’uomo, ci insegna a leggere la storia, ma non come la si può leggere su internet, sui giornali o sui libri, ma come la si può leggere a partire da una rivelazione: la rivelazione di Gesù Cristo.
L’Apocalisse, ultimo libro del NT, ha stile, prospettiva e genere letterario diversi da tutti gli altri scritti del NT. Passato, presente e futuro si mescolano tra loro. Il senso nascosto, ma reale, degli eventi assume spessore drammatico. Si ricollega per genere letterario a un gruppo di scritti denominati “apocalittici”, alcuni appartenenti all’AT (Daniele, Geremia, Ezechiele, Aggeo, Zaccaria) e altri esterni alla Bibbia, che riguardano i momenti più drammatici della storia d’Israele: l’epoca successiva all’esilio babilonese (597 a.C.); il periodo ellenistico con la persecuzione dei Giudei ad opera del sovrano seleucide Antioco IV Epìfane (175-164 a.C.); infine gli anni che seguirono la distruzione del tempio nel 70 d.C. Questo libro assume dall’AT i modelli del suo linguaggio simbolico, che ne rendono comprensibile il messaggio. L’assemblea liturgica costituisce l’ambiente vitale della rivelazione profetica che lo scritto testimonia.
Il termine italiano “apocalisse” deriva dal greco apokàlypsis e indica l’atto di “togliere ciò che nasconde”, “scoprire”, “svelare”, nel senso di “togliere il velo per far apparire ciò che è nascosto”. Sebbene nel linguaggio corrente questo termine sia divenuto sinonimo di catastrofe, disgrazia di immani proporzioni, in realtà esso indica dunque una “rivelazione”. L’Apocalisse giovannea, poi, non ha al suo centro l’annuncio della fine del mondo e la descrizione anticipata dei disastri e dei cataclismi che accompagneranno tale evento. Il titolo del libro, «Rivelazione di Gesù Cristo» (Ap 1,1), indica che esso non rivela nulla di più di quanto è stato rivelato “da” e “in” Gesù Cristo, nell’evento pasquale, e applica tale rivelazione all’intera storia umana.
Giovanni, “fratello Giovanni, “fratello e compagno nella tribolazione” (1,9), comunica ai cristiani che leggono i messaggi da lui scritti, quanto il Signore gli rivela sul mistero delle vicende umane. In un primo momento egli si rivolge a sette comunità cristiane, che risiedono in alcune città dell’attuale Turchia occidentale, e mette in evidenza i loro pregi e i loro difetti. Poi, accentuando l’uso dei simboli, descrive il corso della storia, con i tentativi da parte del potere del male di rendere nulli i progetti di Dio. Le meraviglie operate da Dio nel passato, in particolare il trionfo conseguito dall’Agnello-Gesù con la sua morte e risurrezione, offrono all’uomo e alla Chiesa l’assicurazione di un esito positivo del combattimento contro le forze che si oppongono al riconoscimento della redenzione di Cristo e al culto verso di lui. La caduta della grande Babilonia, simbolo della città perversa, sarà il preannuncio della sconfitta definitiva del nemico. Diverrà allora possibile contemplare lo splendore della città nuova, la Gerusalemme celeste, realizzazione perfetta dell’azione di Dio, dove gli uomini finalmente “saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro” (21,3). Ecco un possibile schema:
– Prologo e visione inaugurale (1,1-20);
– Giovanni alle sette Chiese dell’Asia Minore (2,1-3,22);
– Visioni profetiche (4,1-5,14);
– I sette sigilli (6,1-8,1);
– Le sette trombe (8,2-11,19);
– La grande tribolazione (12,1-14,20);
– Le sette coppe (15,1-16,21);
– Il giudizio (17,1-20,15);
– La nuova Gerusalemme (21,1-22,15);
– Epilogo (22,16-21).
Giovanni si rivolge, all’inizio del libro, “alle sette Chiese che sono in Asia” (1,4); ciò suggerisce che l’ambiente originario dei primi lettori dell’Apocalisse sia stato quello dell’Asia Minore. Nel resto del libro non si trovano però cenni che facciano ritenere il suo messaggio globale destinato solo a questa regione. In realtà, in questo scritto potevano riconoscersi tutti i cristiani che abitavano entro i confini dell’impero romano, o meglio i cristiani del mondo intero. Quattro volte l’autore si presenta come “Giovanni” (1,1.4.9; 22,8) e si qualifica come “servo” di Dio e di Gesù, “fratello” dei cristiani in difficoltà.
L’esperienza di rapimenti, visioni, estasi, che ha dato origine a questo libro è avvenuta nell’isola di Patmos, dove Giovanni dava testimonianza a Gesù (1,9). Antiche tradizioni riferiscono dell’esilio dell’apostolo san Giovanni a Patmos, dove avrebbe scritto l’Apocalisse. L’opera mostra caratteristiche comuni con il Vangelo e le Lettere di Giovanni; ma si notano differenze di vocabolario e di tematiche. Per questo a ragione diversi studiosi pensano che l’Apocalisse non sia da attribuire all’apostolo Giovanni, ma a un suo discepolo. La data di composizione del libro è coeva agli altri scritti giovannei: verso la fine del I sec.
Benedetto XVI ha dedicato l’Udienza generale del 23 agosto 2006 a san Giovanni, quale autore dell’Apocalisse, definendolo “il Veggente di Patmos”, perché la sua figura è legata al nome di questa isola del Mar Egeo, dove, secondo la sua stessa testimonianza autobiografica, egli si trovava come deportato a «causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù» (Ap 1,9). Proprio a Patmos, «rapito in estasi nel giorno del Signore» (Ap 1,10), Giovanni ebbe delle visioni grandiose e udì messaggi straordinari, che influiranno non poco sulla storia della Chiesa e sull’intera cultura cristiana. Ecco il testo dell’Udienza di papa Benedetto XVI:
BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI, Mercoledì 23 agosto 2006
Giovanni, il veggente di Patmos
Cari fratelli e sorelle, nell’ultima catechesi eravamo arrivati alla meditazione sulla figura dell’apostolo Giovanni. Avevamo dapprima cercato di vedere quanto si può sapere della sua vita. Poi, in una seconda catechesi, avevamo meditato il contenuto centrale del suo Vangelo, delle sue Lettere: la carità,
l’amore. E oggi siamo ancora impegnati con la figura di Giovanni, questa volta per considerare il Veggente dell’Apocalisse. E facciamo subito un’osservazione: mentre né il Quarto Vangelo né le Lettere attribuite all’Apostolo recano mai il suo nome, l’Apocalisse fa riferimento al nome di Giovanni ben quattro volte (cfr 1,1.4.9; 22,8). È evidente che l’Autore, da una parte, non aveva alcun motivo per tacere il proprio nome e, dall’altra, sapeva che i suoi primi lettori potevano identificarlo con precisione. Sappiamo peraltro che, già nel III secolo, gli studiosi discutevano sulla vera identità anagrafica del Giovanni dell’Apocalisse.
Ad ogni buon fine, lo potremmo anche chiamare “il Veggente di Patmos”, perché la sua figura è legata al nome di questa isola del Mar Egeo, dove, secondo la sua stessa testimonianza autobiografica, egli si trovava come deportato “a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù” (Ap 1,9). Proprio a Patmos, “rapito in estasi nel giorno del Signore” (Ap 1,10), Giovanni ebbe delle visioni grandiose e udì messaggi straordinari, che influiranno non poco sulla storia della Chiesa e sull’intera cultura cristiana. Per esempio, dal titolo del suo libro – Apocalisse, Rivelazione – furono introdotte nel nostro linguaggio le parole “apocalisse, apocalittico”, che evocano, anche se in modo improprio, l’idea di una catastrofe incombente.
Il libro va compreso sullo sfondo della drammatica esperienza delle sette Chiese d’Asia (Efeso, Smirne, Pergamo, Tiàtira, Sardi, Filadelfia, Laodicéa), che sul finire del I secolo dovettero affrontare difficoltà non lievi – persecuzioni e tensioni anche interne – nella loro testimonianza a Cristo. Ad esse Giovanni si rivolge mostrando viva sensibilità pastorale nei confronti dei
cristiani perseguitati, che egli esorta a rimanere saldi nella fede e a non identificarsi con il mondo pagano, così forte. Il suo oggetto è costituito in definitiva dal disvelamento, a partire dalla morte e risurrezione di Cristo, del senso della storia umana.
La prima e fondamentale visione di Giovanni, infatti, riguarda la figura dell’Agnello, che è sgozzato eppure sta ritto in piedi (cfr Ap 5,6), collocato in mezzo al trono dove già è assiso Dio stesso. Con ciò, Giovanni vuol dirci innanzitutto due cose: la prima è che Gesù, benché ucciso con un atto di violenza, invece di stramazzare a terra sta paradossalmente ben fermo sui suoi piedi, perché con la risurrezione ha definitivamente vinto la morte; l’altra è che lo stesso Gesù, proprio in quanto morto e risorto, è ormai pienamente partecipe del potere regale e salvifico del Padre. Questa è la visione fondamentale. Gesù, il Figlio di Dio, in questa terra è un Agnello indifeso, ferito, morto. E tuttavia sta dritto, sta in piedi, sta davanti al trono di Dio ed è
partecipe del potere divino. Egli ha nelle sue mani la storia del mondo. E così il Veggente vuol dirci: abbiate fiducia in Gesù, non abbiate paura dei poteri contrastanti, della persecuzione! L’Agnello ferito e morto vince! Seguite l’Agnello Gesù, affidatevi a Gesù, prendete la sua strada! Anche se in questo mondo è solo un Agnello che appare debole, è Lui il vincitore!
Una delle principali visioni dell’Apocalisse ha per oggetto questo Agnello nell’atto di aprire un libro, prima chiuso con sette sigilli che nessuno era in grado di sciogliere. Giovanni è addirittura presentato nell’atto di piangere, perché non si trovava nessuno degno di aprire il libro e di leggerlo (cfr Ap 5,4). La storia rimane indecifrabile, incomprensibile. Nessuno può leggerla. Forse questo pianto di Giovanni davanti al mistero della storia così oscuro esprime lo sconcerto delle Chiese asiatiche per il silenzio di Dio di fronte alle persecuzioni a cui erano esposte in quel momento. È uno sconcerto nel quale può ben riflettersi il nostro sbigottimento di fronte alle gravi difficoltà, incomprensioni e ostilità che pure oggi la Chiesa soffre in varie parti del mondo. Sono sofferenze che la Chiesa certo non si merita, così come Gesù stesso non meritò il suo supplizio. Esse però rivelano sia la malvagità dell’uomo, quando si abbandona alle suggestioni del male, sia la superiore conduzione degli avvenimenti da parte di Dio. Ebbene, solo l’Agnello immolato è in grado di aprire il libro sigillato e di rivelarne il contenuto, di dare senso a questa storia apparentemente così spesso assurda. Egli solo può trarne indicazioni e ammaestramenti per la vita dei cristiani, ai quali la sua vittoria sulla morte reca l’annuncio e la garanzia della vittoria che anch’essi senza dubbio otterranno.
A offrire questo conforto mira tutto il linguaggio fortemente immaginoso di cui Giovanni si serve. Al centro delle visioni che l’Apocalisse espone ci sono anche quelle molto significative della Donna che partorisce un Figlio maschio, e quella complementare del Drago ormai precipitato dai cieli, ma ancora molto potente. Questa Donna rappresenta Maria, la Madre del Redentore, ma rappresenta allo stesso tempo tutta la Chiesa, il Popolo di Dio di tutti i tempi, la Chiesa che in tutti i tempi, con grande dolore, partorisce Cristo sempre di nuovo. Ed è sempre minacciata dal potere del Drago. Appare indifesa, debole. Ma mentre è minacciata, perseguitata dal Drago
è anche protetta dalla consolazione di Dio. E questa Donna alla fine vince. Non vince il Drago. Ecco la grande profezia di questo libro, che ci dà fiducia! La Donna che soffre nella storia, la Chiesa che è perseguitata alla fine appare come Sposa splendida, figura della nuova Gerusalemme dove non ci sono più lacrime né pianto, immagine del mondo trasformato, del nuovo mondo la cui luce è Dio stesso, la cui lampada è l’Agnello.
Per questo motivo l’Apocalisse di Giovanni, benché pervasa da continui riferimenti a sofferenze, tribolazioni e pianto – la faccia oscura della storia –, è altrettanto permeata da frequenti canti di lode, che rappresentano quasi la faccia luminosa della storia. Così, per esempio, vi si legge di una folla immensa, che canta quasi gridando: “Alleluia! Ha preso possesso del suo Regno il Signore, il nostro Dio, l’Onnipotente. Rallegriamoci ed esultiamo,
rendiamo a lui gloria, perché son giunte le nozze dell’Agnello, e la sua sposa è pronta” (Ap 19,6-7). Siamo qui di fronte al tipico paradosso cristiano, secondo cui la sofferenza non è mai percepita come l’ultima parola, ma è vista come punto di passaggio verso la felicità e, anzi, essa stessa è già misteriosamente intrisa della gioia che scaturisce dalla speranza.
Proprio per questo Giovanni, il Veggente di Patmos, può chiudere il suo libro con un’ultima aspirazione, palpitante di trepida attesa. Egli invoca la venuta definitiva del Signore: “Vieni, Signore Gesù!” (Ap 22,20). È una delle preghiere centrali della cristianità nascente, tradotta anche da san Paolo nella forma aramaica: “Marana tha”. E questa preghiera “Signore nostro,
vieni!” (1 Cor 16,22) ha diverse dimensioni. Naturalmente è anzitutto attesa della vittoria definitiva del Signore, della nuova Gerusalemme, del Signore che viene e trasforma il mondo. Ma, nello stesso tempo, è anche preghiera eucaristica: “Vieni Gesù, adesso!”. E Gesù viene, anticipa questo suo arrivo definitivo. Così con gioia diciamo nello stesso tempo: “Vieni adesso e vieni in modo definitivo!”. Questa preghiera ha anche un terzo significato: “Sei già
venuto, Signore! Siamo sicuri della tua presenza tra di noi. È una nostra esperienza gioiosa. Ma vieni in modo definitivo!”. E così, con san Paolo, con il Veggente di Patmos, con la cristianità nascente, preghiamo anche noi: “Vieni, Gesù! Vieni e trasforma il mondo! Vieni già oggi e vinca la pace!”. Amen!